domenica 30 ottobre 2011

Di chi è il mondo

Stasera la trasmissione Report di Milena Gabanelli si è occupata del rapporto fra crisi economica e finanza.

mercoledì 7 settembre 2011

Un freno alle nascite

Riflettendo sulle questioni connesse all'iper-sfruttamento del nostro pianeta. Le cause sono principalmente da addebitare al nostro tenore di vita troppo prodigo, diciamo pure al di sopra delle nostre possibilità. E' una questione complessa da affrontare coinvolgento alla base il nsotro intero sistema socio-economico, a livello mondiale, oltre che locale. La questione fondamentale però può ridursi ad una domanda che coinvolge una scelta: possiamo crescere sempre e indefinitamente o siamo arrivati oltre la possibilità di crescere e dobbiamo cercare di affrontare la china discendente?
A parte queste domande fondamentali ci sono però questioni pratiche pressanti e immadiate: come la crisi delle riserve del petrolio; e altri problemi materiali che riguardano energia e materie prime. Altre questioni riguardano piuttosto l'inquinamento, per tacere della questione forse più hot, almeno in vista del futuro sul nostro pianeta: la questione dei cambiamenti climatici.
Connesse inestricabilmente a tutte quante queste problematiche c'è poi l'enorme questione demografica. A questo proposito credo utile riproporre un intervista all'economista Jeffrey Sachs, apparsa sull'inserto TuttoScienze e Tecnologia de "La Stampa" di Febbraio dello scorso anno.

“Un freno alle nascite contro la bomba-Africa”
di Marco Bardazzi
Se l’Italia pensa di avere oggi un problema con l’immigrazione, aspetti di vedere cosa accadrà nei prossimi decenni in Africa. «A meno che non muti lo scenario, entro il 2050 ci saranno un miliardo di persone in più nell’Africa sub-sahariana, senza le risorse disponibili e in uno scenario di cambiamento climatico: questo significa crisi enormi, violenza, carestie e conseguenti gigantesche migrazioni di massa verso l’Europa». La previsione porta la firma autorevole di Jeffrey Sachs, l’economista della Columbia University ai cui consigli si affidano organizzazioni internazionali e vari governi di Paesi in via di sviluppo. Una voce influente anche all’Onu, dove collabora in modo stretto con il segretario generale Ban Ki-moon.
Il curriculum di Sachs fa sì che abbiano un peso su scala planetaria non solo le sue analisi, ma anche le soluzioni che propone. Nel caso dell’Africa, la ricetta prevede interventi «per una forte riduzione della crescita demografica: ciò significa diffondere la contraccezione e i metodi moderni di pianificazione familiare». La bomba demografica africana occupa una parte importante nell’ultimo libro di Sachs, «Il Bene Comune - Economia per un pianeta affollato» (Mondadori), appena uscito in Italia. Un manuale sui rischi cui va incontro il pianeta e i possibili metodi per affrontarli. Sachs ne parla dal proprio ufficio a New York di direttore dell’«Earth Institute» alla Columbia, tra un viaggio e l’altro in giro per il mondo: è appena rientrato dall’India, dove ha partecipato a un vertice sul clima, e lo attende un incontro a Roma del Programma alimentare mondiale dedicato a Haiti (è anche consigliere del presidente haitiano René Preval).
Nel libro lei analizza nei dettagli le previsioni sulla crescita demografica africana: contraccezione e legalizzazione dell’aborto in tutti gli Stati sono scelte indispensabili?
«Occorrono ambiziosi programmi di sviluppo che mirino ad abbassare simultaneamente il tasso di mortalità infantile e quello di fertilità. L’Africa e le sue risorse non sono in grado di sostenere l’esplosione demografica. Serve una significativa riduzione della crescita della popolazione. Vogliamo che avvenga attraverso sofferenze di massa, carestie e disastri?».
I cambiamenti climatici avranno un peso nel determinare gli scenari africani?
«Assolutamente sì, nell’Africa sub-sahariana le condizioni peggioreranno, alimentando le crisi. È vitale per l’Africa che si agisca sulla demografia, è decisivo per il benessere dei suoi bambini ed è molto importante per l’Europa, perché in caso contrario l’instabilità si farà sentire sulle sponde europee».
Parlando di clima, dopo il fallimento del vertice Onu di Copenhagen che atmosfera ha trovato a Delhi, dove nei giorni scorsi si è fatto il punto sul cammino verso il nuovo summit a fine anno in Messico?
«È improbabile che anche nel 2010, come nel 2009, si riesca a firmare un trattato sul clima. Se anche fosse raggiunto un accordo, è improbabile che gli Usa lo firmino».
Perché? «Per la situazione politica che si è creata negli Stati Uniti. Le elezioni americane di midterm del novembre prossimo potrebbero complicare ulteriormente le cose. È l’ora di un approccio diverso».

Quale?
«Invece di concentrarci sul tentativo di mettere a punto un trattato da far firmare a tutti, dobbiamo mirare a soluzioni pratiche e immediate. Nuovi programmi di finanziamento ai Paesi in via di sviluppo. Azioni contro la deforestazione. Iniziative per diffondere l’energia solare in Africa. Passi pragmatici, invece di grandi discorsi. Se mostriamo risultati specifici rimetteremo in moto il meccanismo». Non è una rinuncia definitiva alle ambizioni che precedevano Copenhagen? «Gli ostacoli che sono emersi negli Usa e anche in Cina non cadranno nel 2010. Meglio mostrare progressi reali su alcuni aspetti del problema». È un segnale che ha perso fiducia in Obama, il presidente che legge i suoi libri e li usa nei suoi discorsi? «Sono contento che mi legga. Ha detto cose importanti sulla modernizzazione delle infrastrutture e sull’economia “verde”. Ma nel complesso l’amministrazione non ha dato per ora seguito alle promesse, è stato un primo anno deludente. Penso che Obama sappia bene dove dobbiamo andare, ma vorrei vedere passi concreti per arrivarci. Non sarà facile, perché la situazione politica peggiora».

Cosa legge dietro la recessione dello scorso anno e il nuovo panico di questi giorni sui mercati globali?
«Le cause immediate sono legate all’andamento dei mercati finanziari, ma credo ci sia qualcosa di più profondo. Stanno emergendo i segni della carenza di risorse del pianeta. La debolezza della ripresa negli Usa e in Europa è legata anche al fatto che mancano chiari modelli di sviluppo sostenibile».

Da "La Stampa" del 10/02/2010, pag. 17

Link:
L'articolo era già stato ripreso dall'interessante sito "Rientro Dolce"
L'articolo su Rientro Dolce:Intervista all'economista Jeffrey Sachs

sabato 3 settembre 2011

Stiamo consumando il nostro pianeta

Solo ieri riflettevo sulla necessità di riprendere periodicamente in esame fatti e notizie, riesaminarli da un ottica diversa, soffermarsi a pensare.

Ecco, nel post qui sotto linkato, ampi motivi di riflessione.
Siamo in bancarotta verso il pianeta Terra
A questo articolo ne aggiungo di seguito stralci di un altro, un articolo pubblicato sul sito di Repubblica quasi un anno fa, in cui in diretta sul sito avveniva la presentazione del "Living Planet Report", con gli esperti del Wwf in studio

E' appena il caso di notare che il perdurarsi e l'aggravarsi della crisi mondiale ha relegato queste preoccupazioni di fondamentale importanza per il futuro ancora più ai margini delle agende della politica e delle preoccupazioni dei decisori mondiali, i padroni di economia e finanza, e delle impotanti istituzioni che ne sono diretta emanazione.

Stiamo consumando il nostro pianeta
di ANTONIO CIANCIULLO
ROMA - Oggi consumiamo più risorse di quelle che la Terra può fornire senza impoverirsi e colmiamo la differenza rubando l'acqua che scorre in falde acquifere che non si rigenerano, bruciando foreste che si trasformano in deserto, pescando tanti pesci da spopolare i mari. C'è già di che preoccuparsi, ma il futuro - in assenza di una rapida correzione di rotta - è ancora più preoccupante: il bilancio si aggraverà pesantemente già nel 2030. E' l'allarme contenuto nel "Living Planet Report", il rapporto biennale realizzato dal Wwf in collaborazione con la Zoological Society di Londra e il Global Footprint Network, che nell'anno internazionale della biodiversità e a pochi giorni dall'apertura della Conferenza di Nagoya che dovrà decidere le nuove strategie per fermare il tasso di perdita della biodiversità al 2020.
Quello che emerge è un quadro grave, che offre anche una chiave di lettura per capire la crisi economica che stiamo attraversando: una crisi che s'intreccia con la minaccia di bancarotta ecologica. Sovrappopolazione, sprechi, disattenzione hanno portato a un saccheggio crescente delle materie prime e delle fonti energetiche che oggi hanno un andamento fortemente instabile dal punto di vista dei prezzi e disastroso dal punto di vista ambientale: la depurazione dell'acqua, la fertilità del suolo, la stabilità dell'atmosfera (e quindi del clima) sono servizi gratuiti che la natura offre e che la crescita umana senza controllo sta minando.

Links:
Ecco il link all'articolo completo:Stiamo consumando il nostro pianeta
Lo "spunto iniziale":Siamo in bancarotta verso il pianeta Terra


venerdì 2 settembre 2011

E' quasi troppo tardi

Ogni tanto è bene voltarsi indietro.
Nell'età dell'informazione si rischia di essere sotterrati da un oceano sconfinato di notizie che si annullano le une con le altre.

Ecco perché è bene ogni tanto fermarsi, per riflettere e guardarsi un po indietro, per riconsiderare gli avvenimenti e le notizie, magari per riprenderle in esame con un attenzione diversa.

Effetto serra, aumento record dei gas nocivi 4 gradi di temperatura in più entro il 2100(*)
31 maggio 2011 — pagina 61 sezione: CRONACA
LONDRA
È quasi troppo tardi per salvare il mondo dall' effetto serra(**). Le emissioni di gas nocivi hanno subito un aumento record lo scorso anno, arrivando a sfiorare la soglia che gli esperti giudicano pericolosa, varcata la quale sarebbe impossibile evitare una catastrofe. Il scioccante incremento, avvenuto a dispetto della recessione internazionale, rende "quasi un' utopia" l' obiettivo di impedire un aumento della temperatura media del pianeta di 2 gradi centigradi o più nel prossimo futuro, afferma Faith Birol, capo economista dell' International Energy Agency (Iea), un cui nuovo rapporto ha dato l' allarme. L' anno scorso, secondo una stima dell' Iea, una quantità senza precedenti di 30,6 gigatonnellate di CO2 è entrata nell' atmosfera, un aumento di 1,6 gigatonnellatte rispetto al 2009. La Iea calcola che, se il mondo vuole evitare gli effetti peggiori risultanti dal cambiamento climatico, le emissioni di gas nocivo non dovrebbero superare il livello annuale di 32 gigatonnellate entro il 2020. Ma tale limite, se le emissioni continueranno al ritmo attuale, verrà superato già nel 2011, con nove anni di anticipo sulle peggiori previsioni, rendendo impossibile mantenere il surriscaldamento a un livello accettabile. «A questo ritmo avremmo una possibilità del 50% di un aumento della temperatura globale della terra di più di 4 gradi centigradi entro il 2100», commenta lord Stern, il docente della London School of Economics autore del famoso rapporto sul cambiamento climatico che porta il suo nome. «Una simile eventualità sconvolgerebbe le vite di milioni di persone in tutto il pianeta, conducendo a migrazioni di massa e conflitti. È un rischio che qualunque persona sana di mente vorrebbe ridurre drasticamente». Secondo il capo economista della Iea, il disastro potrebbe ancora essere evitato, se i governi prendono sul serio il nuovo segnale di allarme. «Se ci saranno azioni urgenti, determinate e coraggiose, abbiamo ancora una chance di farcela», afferma Birol. Ma è quasi troppo tardi(**). - DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ENRICO FRANCESCHINI



(*)http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/05/31/effetto-serra-aumento-record-dei-gas-nocivi.html
(**) I corsivi sono miei.

lunedì 16 maggio 2011

Evoluzione e Società

Dialogo con l'amico Jeroen:

(I): Falsehood and hypocrisy of the goodness, as in politically correct, which is driven by fear, has led us to subvert the natural mechanism for which only the strongest, only the best will survive.
And now we have become like a cancer out of control for life on earth.

(Jeroen): Yes indeed, the survival of the fittest no longer applies to human society. And the ill effects are showing. Too many people, too much degeneration, a ruined nature. The result of man-centered socio-political and religious stupidity. To 'be good to everybody' is to deny natural differences, therefore it is a lie. This lie is the foundation of today's plebeian collectivist mass media slave society. The only honorable way of life is to go against the stream, to rise above the vulgarity.

mercoledì 4 maggio 2011

Massimo Fini: Il Mullah Omar, i “popoli tradizionali” , l'Occidente

Il giornalista e scrittore Massimo Fini ha scritto un saggio biografico sul Mullah Omar attraverso il quale racconta anche una guerra infinita e un mondo diverso dal nostro, con una cultura propria diversa dalla nostra e fiera della propria diversità
Per questo motivo è stato denunciato dai buffoni berlusconiani del PDL.
Non difendo i kamikaze ma i diritti di un popolo/Non è un saggio, ma un insulto all'Occidente

replica di Massimo Fini alla lettera di Francesco Borgonovo.

Caro Borgonovo,
anche a me piacciono le belle ragazze (c’ho scritto un libro: Dizionario erotico. Manuale contro la donna a favore della femmina). Ma non le ho mai pagate. Questo però non c’entra niente col mio libro. Tu sembri ossessionato dal berlusconismo esattamente come i suoi avversari, con una visione provinciale che non fa onore né all’una né all’altra parte.

Nei Talebani io difendo innanzitutto il diritto elementare di un popolo, o di una parte di esso, a resistere all’occupazione dello straniero, comunque motivata. Altrimenti dobbiamo avere il coraggio e la coerenza di prendere la tanto conclamata Resistenza italiana, che fu in realtà opera di poche migliaia di uomini e di donne coraggiose, e di buttarla nel cesso. Degli afgani, e in generale dei cosiddetti “popoli tradizionali”, io apprezzo alcuni valori prepolitici che sono venuti completamente meno in Occidente: coraggio, fisico e morale, dignità, lealtà, rispetto della parola data («Il Mullah Omar se promette una cosa la fa», dice Abdul Salam Zaeef che si è distaccato da tempo dal movimento talebano ma che ha conosciuto da vicino il leader) e, per quello che riguarda in particolare i Talebani, l’integrità e l’incorruttibilità. Quando il Mullah Omar si rifugia presso il capo tribale Walid i marines vanno sul posto e ne chiedono l’immediata consegna. Sulla sua testa pende una taglia di 25 milioni di dollari. Con una cifra simile, da quelle parti, si compra tutto l’Afghanistan e anche un po’ di Pakistan. Walid farà solo finta di trattare, per permettere a Omar di guadagnare terreno sui suoi inseguitori. Quando Zaeef, che non è un cuor di leone, viene catturato dagli americani che prima lo sottopongono al “trattamento Abu Grahib”, che non è una deviazione sessuale di qualche soldato o soldatessa depravati ma una pratica della “cultura superiore”, poi alle torture vere e proprie e quindi gli promettono libertà e un mucchio di soldi, Zaeef risponde: «Non c’è prezzo per la vita di un amico e di un compagno di battaglia». Tu sai - perché la cronaca ce lo dice ogni giorno - a quali prezzi oggi si vendono gli uomini e le donne in Italia, senza che ci sia bisogno di metterli sotto tortura. E non parlo solo di denaro, ma degli umilianti infeudamenti, al bacio delle babucce, a cui tantissimi si sottopongono pur di avere, quasi sempre immeritatamente, un posto di rilievo nella società.

I bombardamenti da diecimila metri di altezza, spesso con i robot, i Dardo e i Predator, non sono solo un modo vigliacco di combattere sono esattamente la ragione per cui la Nato, pur così strapotente, sta perdendo la guerra all’Afghanistan. Scrive Ahmed Rashid, considerato il maggior esperto delle vicende dell’Asia Centrale e della questione afgana in particolare: «L’indisponibilità della Nato ad accettare perdite di vite umane la costringe a diperdere dalla potenza aerea (...) ma così facendo l’Alleanza perde la speranza di conquistare la popolazione» (A.Rashid, Caos Asia, p.411, Feltrinelli, 2008).

Gli afgani, e anche i Talebani, non sono mai stati terroristi. Non c’era un afgano nei commandos che abbatterono le Torri Gemelle. Non un solo afgano è stato trovato nelle cellule, vere o presunte, di Al Quaeda, scoperte dopo l’11 settembre. Ci sono arabi sauditi, tunisini, algerini, marocchini, egiziani, yemeniti, ma non afgani. Nei durissimi dieci anni di guerriglia contro gli invasori sovietici, i mujaheddin afgani non si sono resi responsabili di un solo atto terroristico, tantomeno kamikaze (eppure un’aeroflot poco difesa non era difficile da trovare). Il terrorismo è estraneo alla loro cultura. Sono dei guerrieri, che è cosa diversa. E se all’inizio del 2006, dopo un contrastato dibattito della Shura talebana, il Mullah Omar ha dato l’autorizzazione ai comandanti militari, che la chiedevano, di accompagnare le tradizionali tattiche della guerriglia con gli attentati terroristi, è perché contro un nemico che, a differenza dei sovietici, non ha nemmeno la dignità di stare sul campo e si rende irragiungibile e spesso invisibile, combattendo con i robot, che cose resta a una resistenza?

In Afghanistan, c’era Bin Laden. I Talebani se lo sono ritrovati in casa, non ce lo avevano portato loro, ma, due anni prima che il loro movimento nascesse, il nobile Massud, molto apprezzato in Occidente, a differenza di Omar, per combattere un altro “signore della guerra”, Heckmatyar. Comunque sono passati dieci anni. Bin Laden in Afghanistan non c’è più e, ammesso che sia mai esistita, nemmeno Al Qaeda. La stessa Cia ha calcolato che su circa 50 mila guerriglieri solo 359 sono stranieri, ma sono ceceni, uzbeki, turchi, cioè non arabi, non waabiti che hanno in testa la jihad universale contro l’Occidente.

Nei documenti del Pentagono e della Cia i combattenti talebani, cui si sono aggiunti nazionalisti afgani di ogni provenienza, sono definiti insurgents, insorti. Solo i ministri La Russa e Frattini, insieme a qualche loro reggicoda, continuano a chiamarli “terroristi”. La rivolta talebana non è più solo talebana, ma come documentano tutti i reportage è una ribellione all’occupazione dell’arrogante straniero che crede, con una buona dose di egocentrismo oltre che di infantilismo, che i propri valori, perché sono i propri, siano i migliori dimenticando non solo la lezione di Montaigne che nel famoso capitolo dei Saggi intitolato I cannibali e dedicato agli indigeni sudamericani scrive: «Certo, per noi loro sono cannibali, ma ai loro occhi i cannibali siamo noi», ma anche quella sul relativismo culturale di Levi Straus che non era un estremista talebano, ma un filosofo e antropologo francese che aveva conosciuto molti popoli che hanno storia, tradizioni, diritto di famiglia, forme di giustizia, concezione della vita e della morte completamente diverse dalle nostre.

Infine tu sembri rimproverarmi, Borgonovo, di scrivere quello che scrivo “stando al calduccio della mia casa borghese”. A parte che la mia casa è tutt’altra cosa, come ti renderai conto quando verrai a trovarmi, il punto non è questo. Tu, difensore del diritto della libertà di espressione, non ti rendi conto che in questo modo castri ogni possibilità di critica. O uno fa il Byron e va a battersi personalmente per la libertà della Grecia oppure le sue parole non contano.

Io credo di aver esercitato il coraggio nella sola forma possibile in democrazia: che è il coraggio morale. Io ho scritto sempre e solo ciò che pensavo, non mi sono mai infeudato a partiti, bande, lobbies, sono stato sempre un ’chevalier seul’ e per questo ho pagato prezzi durissimi, sul piano professionale, sociale e, alla fine, anche esistenziale. Altro che i “sessantottini” cui tu, forse perché hai ancora il latte sulle labbra, sembri apparentarmi. Sulla coerenza intellettuale, morale, esistenziale e anche materiale penso che ci siano pochi, in questo Paese, che abbiano diritto di darmi lezioni.

di Massimo Fini

sabato 23 aprile 2011

«Vita liquida», «società e modernità liquida»

Una mappa della rete internet.

«Vita liquida» e «modernità liquida» sono profondamente connesse tra loro. «Liquido» è il tipo di vita che si tende a vivere nella società liquido-moderna. Una società può essere definita «liquido moderna» se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. Il carattere liquido della vita e quello della società si alimentano e si rafforzano a vicenda. La vita liquida, come la società liquido-moderna non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo.

da Zygmunt Bauman, Vita Liquida (Introduzione, pag. VII).

Recensione di Vita Liquida, su Sitosofia

Recentemente ha suscitato clamore un intervento di Bauman sulle reti sociali, pubblicato in parte su "la repubblica".
http://alessandrolanni.wordpress.com/2011/04/13/bauman-se-la-prendeva-coi-blogger/
Il trionfo dell'esibizionismo nell'era dei social network
Altri link su Bauman:
http://www.ilmandorlo.org/SeminarioGenitori/Bauman.pdf

domenica 10 aprile 2011

un nuovo partito politico

Un nuovo partito politico. Anzi, due!

Garson Poole e Guy Fawkes vogliono fondare un nuovo partito: sono in disaccordo praticamente su tutto: a cominciare dal nome da dare al futuro partito fino al programma che lo dovrebbe rappresentare presso il popolo degli elettori.

Guy Fawkes pensa ad una forma di democrazia anarchica che ammetta anche l'uso, senza condizioni, della violenza politica; per il nome opterebbe per un inequivocabile "Arriva la bomba".

Garson Poole, da sempre innamorato del proprio creatore, Philip K. Dick, ha in mente un programma ispirato al racconto di Dick "Lotteria solare"; il nome è ancora incerto, forse potrebbe essere "Lotteria Democratica Integrale".

Chissà se, vista la crisi di credibilità che da tempo attraversa istituzioni e partiti, queste nuove proposte possono raccogliere abbastanza consensi da diventare nuove realtà nel nostro stagnante panorama politico?

sabato 12 marzo 2011

mala tempora

Sarà per la non più tenera età(*), sarà per una questione di carattere; o sarà per gli ormai più di venti anni(**) passati a contatto con il pubblico, - un pubblico di lettori, di "consumatori di cultura"(***)-, ma mi è sembrato ovvio e inevitabile chiamare così questo mio nuovo canale di sfogo di frustrazioni e frustrate considerazioni,e, dunque:
mala tempora current (****)



(*) Ma, per la cultura "mainstream", quella di televisioni e "media", quella di gossip e reality, è proibito sentirsi e, persino dirsi, vecchio.
E così il nostro attuale Premier, il settantaquattrenne Silvio Berlusconi è "un giovane adulto sano", vedi:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/12/09/silvio-un-giovane-adulto-sano/81052/

(**) In questi ultimi vent'anni sono davvero cambiate molte cose nel mondo e molte cose ho visto cambiare attraverso il mio punto d'osservazione, la mia piccola finestra sul mondo, piccola ma ben informata!
Un breve e sintetico elenco conterrà almeno queste parole chiave (keywords): internet (e il suo prima lento e poi sempre più veloce e pervasivo affermarsi); globalizzazione; cambiamento climatico; crescita esponenziale della popolazione e dell'urbanizzazione, declino dell'ambiente e della biodiversità; finanziarizzazione dei mercati (invenzione delle option, dei derivati e in generale di nuovi strumenti e modalità finanziarie sempre più slegati dal mondo reale delle merci e delle risorse effettive);grandi trasformazioni nel mondo del lavoro: precarizzazione e terziarizzazione del lavoro e perdita dei diritti garantiti, fine del posto di lavoro fisso; crisi della famiglia "classica";
In più, almeno in Italia,(o sopratutto in Italia): crisi della scuola e del sistema educativo in generale; la nuova politica: ovvero la politica si trasforma tout court, 'semplicemente', in affarismo e opportunità per arricchirsi e perde ogni capacità progettuale e di guida politica e morale della società...

(***) Le trasformazioni culturali sono naturalmente connesse a tutte le trasformazioni della società in genere; posso comunque affermare che quelle subite dell'industria culturale mi hanno riguardato e mi riguardano da vicino e posso senz'altro dire di averle vissute di prima mano.

(****) Vedi la voce in Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Mala_tempora_currunt